Biografia
..dal realismo alla metafisica
Franco Solmi
Hanno scritto su Claudio
La lezione del 900 partenopeo
Grazia Caravita
La ricerca figurativa
Michele Prisco
Annamaria Parlato
Vitaliano Corbi
Pittura è favola senza stupori
Marcello Venturoli
Ugo Piscopo
CLAUDIO LEZOCHE é nato a Napoli.
Conseguita la Maturità Artistica compie i suoi studi presso l'Accademia Belle Arti di Napoli.
Nel I953 vince il "Premio Mancini". Dal I954 al I986 insegna nel Liceo Artistico della sua città. Per un breve periodo degli anni '50 la sua pittura ha caratteristiche di ispirazione neo-realiste ma un realismo non vincolato a schemi. Successivamente dipinge grandi quadri di paesaggi e figure di evidente espressionismo nel superamento di certe esperienze informali a lui non congeniali, portato invece a una reinvenzione della realtà in chiave surreale.
Partecipa dal I95I a varie rassegne in Italia e all'estero fra le quali le Quadriennali di Roma del I95I, I955 e del I959. Nel I956 é presente al I° " Premio del Titano" Repubblica di _ San Marino. Nel I957 é invitato a Mosca all'esposizione della "Giovane pittura Italiana" e poi a Vienna, Budapest Sofia e Praga.
Ottiene a Firenze alla XIII Mostra del " Fiorino" nel I962 il Premio del Turismo di Firenze - Palazzo Strozzi.
I966 é invitato a Milano al XII "Premio Ramazzotti". I968 é premiato alla XXII edizione del "Premio Suzzara".
I97I espone alla mostra nazionale "Aspetti della neofigurazione" nel Palazzo Reale di Napoli.
I977 é invitato alla XXIII Biennale Internazionale del "Fiorino" Firenze - Palazzo Strozzi.
Nel I986 viene allestita una sua mostra antologica alla Galleria Massariuno, Palazzo dei Diamanti- Ferrara. Poi espone_in Olanda, Svizzera, Stati Uniti e Grecia.
Nel '2000 mostra antologica alla Casina Pompeiana - Villa Comunale - Napoli
20II - Castel dell'Ovo - Napoli - mostra antologica.
Sue opere figurano in collezioni pubbliche e private
Muore a Napoli il 13 Giugno 2014
CLAUDIO LEZOCHE, dal realismo alla metafisica
Nell'ampia mostra antologica che Claudio Lezoche presenta a Castel dell'Ovo fino al 30 gennaio, appare delineato in modo chiaro e incisivo il percorso di un artista che in questa selezione che va dal 1950 al 2000 ha seguito una progressiva (e naturale) evoluzione linguistica. Quella che dalla temperie realista lo ha portato via via verso uno sfibramento fisico della forma, prima, e verso una sorta di nuova metafisica dei corpi, poi. Senza però mai rinunciare al dettato di una filiazione figurativa, rinnovabile certo ma mai del tutto azzerabile. Una cifra che caratterizza Lezoche, che anche con questo suo ciclo di opere scelte riafferma vigorosamente il suo statuto di pittore a tutto tondo. Accompagnata peraltro nel catalogo edito da Paparo dagli interventi di Domenico Cara, Michele Prisco, Ugo Piscopo, Vitaliano Corbi, Marcello Venturoli, Franco Solmi, Aurelio De Rose ed Eugenio Lucrezi. Lezoche, per dirla con Corbi che del suo lavoro è stato uno dei più puntuali osservatori, «ama rappresentare le cose con profili netti e ordinate partiture chiaroscurali, pur conoscendo anche momenti di un pittoricismo delicato capace di accogliere qualche preziosa insinuante tenerezza».
Franco Solmi
Lezoche ha raggiunto da tempo una piena definizione della sua poetica, il suo procedere è ormai quello di un pittore che scruta le cose e i misteri del reale e dell'immaginario attraverso il filtro sicuro di un'esperienza e di un linguaggio che sono soltanto suoi, senza nulla concedere, anzi orgogliosamente resistendo, alla suggestione degli avventurismi, o degli anacronismi, delle postavanguardie che, non senza motivazioni, costringono l'artista a una coloratissima assenza dalle questioni del presente. Lezoche coltiva invece, e gelosamente esprime, le proprie e le nostre inquietudini, con una impassibilità che rende ancora più crudele l'implicita denunzia del degrado al quale questa nostra civiltà inesorabilmente ci condanna. Impassibilità che, in arte, significa rigore formale assoluto e disegno di uno spazio ove presenza e distacco coincidono. Non è più il presagio, ma la constatazione che l'arte può ritrovare le proprie ragioni solo qui ed ora, ma astraendosi dai clamori del contingente: in una nuova, quotidiana metafisica, appunto, in cui i sogni e i frammenti, umani o tecnologici che siano, trovano la loro immagine in un confronto fra non dialoganti: nel silenzio di una attesa che un pittore come Lezoche sente e vive ad occhi sbarrati, come allucinazione dell'oggi.
Hanno scritto su Claudio Lezoche
Vito Apuleo, Carlo Barbieri, Arturo Bovi, Massimo Bignardi, Michele Buonuomo, Ferdinando Bologna, Vitaliano Corbi, Enrico Crispolti, Domenico Cara, Ela Caroli, Mario De Micheli, Raffaele De Grada, Aurelio De Rose, S. Di Bartolomeo, Emanuele Di Giorgio, Wstefanc De;Stefano, Piero Girace, Gino Grassi, Domenico Guzzi, A.Izzo, Mario Lepore, Costanza Lorenzetti, Eugenio Lucrezi, Ercole - Maselli, Duilio Morosini, Rosaria Morra, Riccardo Notte, Michele Prisco, Ugo Piscopo, Paolo Ricci, Maria Rcccasalva, Ciro Ruju, Pasquale Esposito, Alfredo Schettini, Franco Solmi, Tiziana Tricarico, Miklos Varga, Lea Vergine, Vitiel- lo, Marcello Venturoli, Annamaria Parlato
Î Bibliografia essenziale.“
Franco Solmi: Lezoche Itinerari 1951/I982, Edizioni Studio Ganzerli.Nap01i 1983.
Claudio Lezoche Opere: I980/1990 Testi di Buonuomo, Corbi, Solmi, Venturoli Ed. Litografia Tosi, Ferrara. 1990
Aurelio De Rose, Lezoche - Disegni e tecniche miste - I975/I997.Ed, Fausto Fiorentino, Napoli I997.
Vitaliano Corbi, Lezoche "Un pittore oltre il segno di contraddizione"
Catalogo mostra antologica Casina Pompeiana Villa Comunale Napoli. 2000
Claudio Lezoche, OPGTG Sflelte I950/2000 Ed.Paparo, Napoli-2008.
La lezione del Novecento Partenopeo
Pasquale Esposito
Il pittore dello stupore, o anche dell'allucinazione. Ma Claudio Lezoche è pure l'interprete delle inquietudini contemporanee, che dagli anni '60 in poi si sono fatte sempre più intense. La mostra che venerdì prossimo aprirà a Castel dell' Ovo - «Claudio Lezoche. Opere scelte 1950-2000» - consente di riaprire una finestra su quel periodo, su quel mondo, su quegli artisti che hanno animato il dibattito sulla pittura a Napoli, lasciando un segno in città ma anche all'estero con esposizioni in Europa e Stati Uniti. Nato nel 1929, Lezoche studiò pittura con Emilio Notte e decorazione con Giovanni Brancaccio, esordì a ventidue anni alla VI Quadriennale di Roma. Il progetto di questa mostra nasce dalla collaborazione fra Vitaliano Corbi - che ne sarebbe stato il curatore se non fosse scomparso nell'autunno scorso, fra i più attenti studiosi dell'arte a Napoli nel secondo Novecento - e l'editore Paparo, che ne cura l'organizzazione con il patrocinio del Comune: la mostra è l'occasione per far luce su un periodo sempre molto presente nel dibattito artistico cittadino e sui protagonisti di quella stagione. Lezoche, è stato fatto più volte notare, sfugge all'informale, al concettuale, Paolo Ricci ne sottolineò più volte la continuità della ricerca nel solco del realismo, Prisco ne metteva in risalto la «sobrietà e la castità dell'espressione», e lo stesso Corbi sottolineava che «rivisitando il catalogo delle opere del pittore napoletano balza agli occhi la singolarità del suo percorso, che ha inteso svincolarsi dalla usuale contrapposizione tra figurazione e astrazione, dando luogo ad un progetto espressivo-cromatico che è stato variamente denotato dalla critica come neometafisico, fantastico-realistico, arcanamente surrealistico o ariosamente allucinato». Il suo è un segno all'apparenza semplice, quasi severa, la cui coerenza rispetto al rapido mutare delle mode rimane come sua principale caratteristica. Poi l'approdo neo-metafisico avvenuto negli anni Sessanta, come testimonia Franco Solmi che avvicinò l'opera di Lezoche a quella di De Chirico. ''La sua pittura - scrisse il critico bolognese - stava appunto evolvendo in quegli anni da un ambito che poteva ancora genericamente definirsi di realismo espressionistico, verso una dimensione che allora venne definita di surrealismo magico ma che io preferisco collocare nel-l'ambito di una neo metafisica''.
GRAZIA CARAVITA da «La Piazza» - Ferrara 7 febbraio 1986
Claudio Lezoche, le cui opere sono esposte alla Galleria Massari I sino al 23 febbraio, ci ricorda, con decisa e sicura forza espressiva, come l'arte sia un modello di operazione creativa che concorre (o compensa) a mutare quelle oggettive condizioni del quotidiano vivere, fatto, oggi, di stressante e alienante impegno, sia esso culturale o fisico. Un discorso del genere, che nel periodo del Funzionalismo, dal 1910 cioè, alla 2° guerra mondiale, era l'anima stessa di movimenti costruttivi quali il Cubismo, il Der Blaue Reiter, il Supremaiismo, il De Stijl, ecc., viene svolto dall'artista con una sorta di surrealismo tecnologico che lascia però ampi spazi ad una critica reale dell'uomo e del suo ambiente. Lezoche ricerca la frammentarietà dell'immagine per poi ricostruirla con durezza volta ad un pessimismo non privo di ironiche sfumature, in modo da ottenere un'immagine che trascenda al «disordine del dramma». In «Degrado», il condottiero ed il cavallo, lungi dal classicismo donatelliano di un Gattamelata, appaiono come blocchi usati, serviti ad un uomo-fanciullo, rinnegati e poi gettati, quasi rappresentazioni di un corpo senz'anima, e pure proiettati in un futuro schiavo sempre e comunque del nostro volere. In tutte le tele l'istinto pittorico-tonale, pur rimanendo sempre una manifestazione dell'animo dell'artista viene usato per sottolineare, con inquietante apprensione, quel senso di degrado imperante nella nostra civiltà. Lezoche, profeta di un domani dove simbolo è realtà, ci avverte, con il suo creare, dei pericoli che noi stessi ci stiamo costruendo: il suo è un messaggio, una predizione purtroppo non favolistica!
La ricerca figurativa di Lezoche di Aurelio De Rose
Nelle sale di Castel dell'Ovo, si è inaugurata la mostra antologica di Claudio Lezoche (nella foto, una sua opera), con opere scelte che coprono l'arco temporale che va dal 1950 al 2000. Di quelle esposte, molte sono riprodotte nel catalogo a cura della Papato Edizioni, che comprende anche vari interventi critici espressi in occasioni di eventi espositivi e, compendiano, l'attività cinquantennale del pittore napoletano. Era ora... ! Che anche per Claudio Lezoche, allievo dei maestri Emilio Notte e Giovanni Brancaccio, venisse offerta dal Comune la possibilità di mostrare, certamente ad un più vasto pubblico, quella che è stata la Sua costante, d'impegno artistico, mai teso al nostalgico passato ma profuso in una ricerca strutturale e contenutistica che hanno poi caratterizzato le Sue opere. Lezoche, -infatti, sin dai primordi ha proposto mediante una oggettivazione narrativa la propria interpretazione oggettuale che, nel tempo, ha assunto sempre più un carattere surreale. Fase questa ultima che ha coinciso con il far divenire, le personali estrinsecazioni espressionistiche, sempre più indicative del tempo vissuto. Tempo, nel quale i soggetti posti in essere, appaiono descrittivamente subordinati, non solo dalla "condizione planetaria" ma, altresì, dalla propria partecipazione al divenire della stessa; sebbene emergono scenicamente come isolati ed estraniati da quanto li circondi. Infatti, l'essere umano, gli animali, la natura, sia pure nella loro primordiale dinamicità boccioniana, sono proposti agli eventi partecipativi, in un circondario di piani cromatici, che assumono una costante di valori essenziali e univoci nel, contesto compositivo. Soggetti che sebbene si mostrino frenati nella voluta ricerca di staticità, che spesso appare "meccanizzata" (foto 1 —Fiore metallico,1976, olio, cm 80x65) e, come fermoimmagine; invece, hanno tuttavia lo scopo di voler consolidare in ognuno d'essi, quel trascendente divenire alle fasi della vita. Tutto ciò quindi li caratterizza e li pone non solo come interpreti principali della narrazione ma, altresì, come essenza principale di una ricerca intimistica che è propria dell'artista napoletano. Narrazione che risente quindi, come avemmo modo di esprimere in un testo di una Sua monografia: (Lezoche-Disegni e tecniche miste 1975-1997), della personale condizione del vivere un tempo che non è mai definito e concluso. Presenza vissuta, nella quale partecipa la propria verifica e denuncia; soprattutto, per quella già citata meccanicità che ci circonda. La mostra resterà aperta fino al 30 gennaio p.v.
Michele Prisco - Notizie d'Arte - Milano 1974
Claudio Lezoche è di quei rari artisti che riescono a fondere con esemplare equilibrio mondo intenzionale e mezzi espressivi, attraverso una pittura di cui a protagonista è assunto l'uomo d‘oggi e il suo rapporto con la realtà, anche quando nel quadro l'uomo non si vede, soprattutto, anzi, quando ne risulta assente. E se una prima, più immediata e magari superficiale lettura può iscrivere Lezoche nell'ambito di quella corrente ormai nota col nome di nuova figurazione, intesa in particolare come superamento di certe esperienze informali e implicante l'esaltazione della polivalenza dell'immagine e del linguaggio, ci si accorge poi quando l'artista operi con piena autonomia all'interno di questa poetica e se ne serva solo perché essa gli permette più agevolmente d'esprìmere il suo rapporto col mondo. Tanto vero che il repertorio figurale del pittore tende, più che a restituirci una realtà colta nei suoi connotati meramente oggettivi, a fissare una realtà ai limiti di certo espressionismo, quando non d'un arcano surrealismo. Ecco quindi la presenza di quelle macchine che non si sa se siano dettagli ingranditi di cilindri o torni oppure torsi umani, e di quei fiori misteriosi e lontani a volte quasi mostruosi, che sembrano appartenere, anch'essi, al mondo meccanico più che al mondo vegetale: e sono, insieme, emblema e testimonianza di certe nostre irrequietudini segrete, e di certe nevrosi più o meno latenti che siglano la nostra vita quotidiana. Ma se questi sono i contenuti emotivi (non figurativi) del pittore napoletano, i mezzi espressivi attraverso i quali egli perviene a dar vita poetica al suo mondo interiore sono altrettanto rigorosi e severi, e basti appena sottolineare la sobrietà, stare per scrivere la castità, del suo registro tonale, fatto di rosa lividi, di bianchi lunari, di bruni densi, di azzurri metallici, di verdi muscosi e di rossi profondi, e trattati spesso con una volontà di consunzione che sembra quasi attenuare la prevaricazione plastica o volumetrica delle sue composizioni per consegnarcele da una più assorta ed essenziale lontananza. Di qui, anche, la particolare compattezza del suo itinerario pittorico, e la forte presa evocativa del suo messaggio. Al limite d'una metafisica del quotidiano, prima o più che suggestionarci, queste tele ci turbano, sino a chiamarci in causa e farci corresponsabili d'una situazione che ci coinvolge senza scampo. L'inferno siamo tutti noi. Lezoche ce ne persuade per sola forza d'immagin
L'OPINIONE DI ANNAMARIA PARLATO
Claudio Lezoche è nato a Napoli nel 1929.Pittore e disegnatore, dopo aver conseguito la maturità artistica compie i suoi studi presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli.Allievo per la pittura di Emilio Notte e per la decorazione di Giovanni Brancaccio, inizia la sua attività nel 1950.Dal 1954 al 1986 insegna al Liceo Artistico di Napoli.Partecipa negli anni '50 a diverse edizioni della Quadriennale di Roma.La prima personale si tiene sempre a Roma, presso la Galleria Zanini, nel 1959.Dopo premi e riconoscimenti, nel 1962 ottiene a Firenze il Premio del Turismo a Palazzo Strozzi per la XIII Mostra del ''Fiorino''.Negli anni successivi diverse sono le sue partecipazioni sia in Italia che all'estero.Un' importante monografia del 1983 è stratta curata da Franco Solmi; altre due seguiranno nel 1990 e 1997.Sono da ricordare la mostra antologica del 1986 a Ferrara presso Palazzo dei Diamanti, la personale del 2000 alla Casina Pompeiana-Villa Comunale- Napoli e quella antologica nel 2011 a Castel dell'Ovo nella medesima città.Ha esposto in Olanda, Svizzera, Stati Uniti e Grecia.La pittura di Lezoche e vibrante e inquietante allo stesso tempo, ci lascia spiazzati quando per la prima volta, con fare silenzioso, ci si accosta ad essa.Il linguaggio di Lezoche con toni sempre più' incalzanti, a partire dagli anni '60, ha lasciato un segno nella città partenopea, ha dato luogo a dibattiti e riflessioni, facendosi interprete delle inquietudini contemporanee.Partito dal realismo, si è fatto portavoce di un revival neometafisico, ha rifiutato il concettuale e l'informale, per indossare le vesti di un novello De Chirico.Nei suoi dipinti intravediamo l'eleganza dei soggetti, la dicotomia metafisica tra l'essere umano e la natura, la lotta, sanguigna ed estenuante, la forza, il potere, il dolore, la volontà e il desiderio.L'arte di Lezoche è un mosaico di interpretazioni, più' livelli di lettura si possono intravedere nelle sue opere, ed ognuna apre verso un mondo, favolistica e immaginario.Contemplare le sue opere è come viaggiare oltre il tempo, far approdare il visitatore verso mondi sconosciuti, tra spazi dalle tinte metalliche e graffianti ove le ombre si affollano e danno luogo a dimensioni ai più' sconosciute.Lezoche abbandonata la materia terrena, si lancia verso un itinerario non facilmente comprensibile al profano, in quanto è un itinerario che vuole essere un pellegrinaggio verso un infinito pittorico d'impronta metafisica.La dominante dei toni scuri e delle tinte più' chiare e tenui, rivela nella cromatica spirituale del suo animo, l'incontro dell'artista con tutto ciò' che è inatteso, ma profondamente desiderato in un' ansia di luci, spazi, altezze d'animo, libertà, espiazione e redenzione dalla schiavitù della materia.Strane macchine, piante, uccelli, frutta, scene urbane e apocalittiche dalle tecniche miste, prendono forma e vengono fuori preponderanti nelle sue tele.E' raro, di questi tempi di interpretazione '' eccessiva '' della realtà e dei linguaggi pittorici, trovare un artista che esprime nella forma e nella rappresentazione della realtà, una delicatezza gentile e nobile.E' questa particolare ricerca di sfumature e di forme trasfigurate, senza essere deformate, che rende suadenti ed intellettualmente seducenti le sue opere.Quando affronta la figura, il paesaggio urbano, con le sue periferie ostili, l'indagine è mordente, attenta alla struttura, tagliente: è la sua critica ad una situazione, che non si abbandona a motivi nostalgici di un passato che è stato e non sarà', ma che è cosciente di un destino più' duro, pesante, che l'uomo porta come suo fardello.
VITALIANO CORBI da ''paese sera'' - 16 febbraio 1983
…L'effeoto di stracciamento, lo stato d'animo angoscioso di chi si ritrova immerso in un mondo inaspettatamente diverso da quello dell'esperienza quotidiana, non deriva tanto dall'insorgere di questi gelidi, desolati ed inospitali paesaggi, quanto dalla sensazione che il tempo sia stato fermato nel suo fluire e ogni cosa, non potendo accadere più' nulla di nuovo, sia stata fissata nella sua ultima e inanimata apparenza, come i lineamenti di un volto nei tratti di una maschera. Si direbbe che la causa di questa improvvisa interruzione del tempo, in cui si realizza una condizione di perfetta visibilità, sia appunto l'avidità dello sguardo.Questo par quasi che sorprenda e trasformi in bianche statue i personaggi di Lezoche, che pure sono rappresentati nell'atto di compiere imprese intensamente dinamiche, come ''il furto'', ''la fuga'', etc. E in realtà, specialmente nelle opere meno recenti, vè travolta persino un accenno al dinamismo boccioniano della compenetrazione dei piani e delle linee di forza.Ma sia il prolungamento dei piani oltre il contorno dei corpi sia le linee spinte violentemente nello spazio finiscono col fasciare e immobilizzare i gesti.
Gli uomini che abitano la pittura di Lezoche suggeriscono non già un'idea di vita ma di morte: simulacri della memoria che segnalano un'assenza dalla realtà e che, infatti, in altri dipinti, saranno sostituiti dai relitti di strane macchine, mute testimonianze di una civiltà definitivamente conclusa.
Che sia questo, tutt'altro che rassicurante, il senso profondo di tutta la pittura di Lezoche lo confermano proprio quelle opere in cui compaiono temi e schemi iconografici diversi.
In ''sezione floreale'' del 1980 e in ''albero e cometa'' del 1982 l'artista napoletano riprende il motivo delle metamorfosi da lui già più' volte sviluppato nel corso della sua ricerca.Ma anche qui s'avverte che il processi di trasmutazione organica risulta paralizzato dallo sguardo nel momento stesso in cui questo penetra, scompone e investiga l'apparenza delle cose. Ma qui soprattutto è possibile comprendere come quella sporta di paralisi sopravvenuta al passaggio entro la spazialità virtuale dell'immagine è niente altro che il segno dell'avvento della forma.
La forza delicata e mutevole del colore, il suo impasto ora vellutato e caldo, ora straordinariamente sottile freddo, la nitida scansione del ritmo lineare, l'ampia articolazione degli intervalli spaziali trasfigurano gli elementi della rappresentazione e li suggellano in un nuovo inalterabile equilibrio formale.
PITTURA E' FAVOLA SENZA STUPORI
Osservando gli elementi "immaginari" del napoletano Claudio Lezoche (che espone alla Galleria I del palazzo Massari) è come trovarsi in un mondo non di oggi ma che, in fondo, non stupisce più' come siamo ormai collocati mentalmente al di la di ogni possibile barriera fantascientifica o metafisica.Nè ci impressiona il misterioso, l'allucinante, l'incomprensibile.Tuttavia la pittura di Lezoche ha un'avvincente attrattiva, surrogata dalla intima forza di un colore armonioso che aiuta a fantasticare dietro le sue visioni piene di irrazionali suggestioni.
La piattezza del figurato tradizionale si rivela un ricordo del passato remoto a fronte delle indecifrabili figurazioni che qui si alternano ma senza nè stupire nè lasciare perplessi.Questo "metafisico favolistico" con punte surreali ha un suo gusto, per cui si va alla favola robotizzata senza meravigliarsi.
La matrice neo-realistica ed espressionistica modificatasi in questa sorta di "immaginario" sorretto da supporti surreali rende la pittura di Lezoche accettabile pur nelle difficoltà della penetrazione concettuale.
MARCELLO VENTUROLI - marzo 1985
Nella mostra personale di Claudio Lezoche che è stata aperta a Roma e che ora si accinge da «Playmen» a tenere cartello a Ferrara e in Olanda, sono stati scelti quadri grandi, medi e «tecniche miste» che specchiano la sua precipua qualità, di trascinare nell’ispirazione i suoi mezzi, che chiamerò aprioristici, nel senso che il pittore non va dalla natura o dal sensibile a1l’astrazione; ma dall’astrazione come schema mentale lungamente perfezionato, ridotto all’essenziale, alla pittura che ne fa la verifica: liberazioni, meteore, comete, giochi di un caleidoscopio manovrato da un «nume», sezioni di fiori e pesche apocalittiche, uccelli tutt'uno con gl’ingranaggi di una dinamica tecnologica, vengono presentati su una ribalta antigraziosa, ove lo spazio, se si colora di gamme robuste, di strati sonori, resta pur sempre in odore di metafisica. Ordigni e gentili elementi botanici, piante, animali, sono schemi per una pittura da conquistare sul campo dipingendo. Solitario, signore di modi, di una cultura sdegnosa e aristocratica, non per presunzione, bensì per rispetto della tradizione avan- guardistica, Claudio Lezoche è uno dei pittori più coerenti e riconoscibili che io abbia incontrato a Napoli e nel Sud
Ugo Piscopo - Scaffale del fantastico - 1979
Finestre aperte sul mondo analogico, quelle offerte dai quadri di Claudio Lezoche, a cui recentemente «Le Edizioni della Comunità Europea» dedicano una monografia, curata e prafata da Arturo Bovi.
Le illustrazioni, raccolte nell'elegante volume, sono disposte secondo l'ordine cronologico delle opere riprodotte, cosi consentendo di poter seguire il lungo cammino percorso dall'autore dal 1958 ad oggi, in un ventennio, che se è decisivo nell'esistenza di un uomo, soprattutto quando tale arco si distenda dalla soglia aggredita spesso con oltranza dei trent'anni a quella temuta e quasi scongiurata dai cinquanta, è addirittura traumatizzante, come appunto quello sopraindicato, per le improvvise oscillazioni di gusto, per le strozzature di discorso, per le folgoranti rivisitazioni e i revivals, per i flussi e riflussi di gusto, intrecciati a situazioni e a svolte fondamentali per la storia europea, ma ancora più per quella italiana, che vede il passaggio dell'abbandono del modello contadino di vita al decollo neoindustriale, dall'usura delle formule integraliste e di centrodestra alla sperimentazione dei rapporti con i socialisti e infine al confronto con i comunisti. ’
I nodi di questo periodo travagliatissimo sono leggibili adesso nella produzione di Lezoche, non sotto forma di aneddoti, ma come rispecchiati in una ricerca aperta e generosa, tentata da uno specifico angolo di visuale che è quello napoletano, squilibrato, ricco di dilemmi, sensibile ai richiami dell'Europa e insieme pronto a chiudersi in spiegazioni tranquillizzanti (materne), fondate su sentimento e saggezza ancestrale fra loro coniugati. In una Napoli che frequentemente minaccia di disgregarsi tra nuclei di civiltà cittadina modernamente fondata e ampi territori (ideali, s'intende) di campagna feudale, Lezoche ha partecipato, senza clamori, anzi quasi appartato, ma con una sua dignità di artigiano che deve dare conto e del ritmo e del livello della sua attività, al processo di trasformazione, che, nell'ambito delle arti visive, non senza esitazione e divergenze, prospetta l'informale come pausa del cronachismo (neo) realista, e subito insieme il revival avanguardista